L’intelligenza artificiale è oggi parte integrante della nostra vita quotidiana, che sia utile per lavoro, svago o anche come aiuto nei compiti scolastici. Si tratta di uno strumento dalle grandi potenzialità il cui uso va regolato, soprattutto in ambito educativo.
Meno spesso si parla invece degli effetti che l’uso dell’intelligenza artificiale può avere sull’attività cerebrale. A farlo è un recente studio del Media Lab del MIT , secondo cui l’uso costante di ChatGPT e altri chatbot contribuisce a ridurre la nostra capacità di pensare, apprendere e ricordare.
Ma com’è possibile? E cosa possiamo evitare che accada?
Gli effetti di ChatGPT sul cervello
Lo studio ha un titolo decisamente esplicativo e legato all’intelligenza artificiale: Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura. I ricercatori hanno suddiviso i 54 partecipanti all’esperimento in tre gruppi, caratterizzati da:
- nessun uso di strumenti digitali, nessun ricorso all’intelligenza artificiale, per il primo gruppo;
- soltanto un accesso a Google per le ricerche, nel caso del secondo gruppo;
- un accesso a ChatGPT, versione GPT-4o, per il terzo gruppo.
Durante i tre mesi della ricerca, i soggetti hanno quindi scritto brevi testi su argomenti prestabiliti, mentre i ricercatori registravano la loro attività cerebrale tramite elettroencefalogramma. Con dei risultati che non possiamo definire sorprendenti, almeno da un certo punto di vista.
I partecipanti che non hanno avuto accesso a Google o a ChatGPT hanno infatti mostrato l’attività cerebrale più intensa. Al contrario, nel secondo gruppo quest’ultima è crollata almeno del 34%, con punte del 55% per il terzo gruppo, quello che ha potuto utilizzare l’intelligenza artificiale.
cosa perdiamo con l’IA
A stupire i ricercatori non è stato soltanto l’impatto dell’intelligenza artificiale sull’intensità dell’attività cerebrale, ma anche quello sulla sua qualità.
Se infatti l’impossibilità di ricorrere a ChatGPT e Google attiva le aree del cervello legate alla creatività, al controllo e all’integrazione semantica, negli altri casi la situazione è diversa. Il secondo gruppo è riuscito a stimolare soltanto le zone visive del cervello, mentre nel terzo l’attività cerebrale era di tipo passiva, di mera elaborazione degli stimoli esterni.
Di fronte a questi risultati, i ricercatori hanno deciso di indagare più a fondo sulle conseguenze che l’uso dell’intelligenza artificiale ha su quanto apprendiamo e ricordiamo. L’83% dei partecipanti del terzo gruppo non ha ricordato neanche una frase del testo scritto pochi minuti prima, e ovviamente il risultato opposto hanno mostrato i partecipanti del primo gruppo.
Insomma, ChatGPT e gli strumenti simili contribuiscono a trasformare gli utenti in meri esecutori passivi di compiti, capaci di mettere insieme suggerimenti esterni senza davvero comprenderli o farli propri. In altre parole, l’IA ci trasforma in se stessa.
IA non come sostituto
Nella quarta fase dell’esperimento, il gruppo che aveva usato ChatGPT ha dovuto scrivere un testo senza l’aiuto dell’intelligenza artificiale, e viceversa per il gruppo che invece non poteva ricorrere allo strumento.
Anche qui, i risultati sono stati interessanti:
- nel primo caso, l’attività cerebrale è rimasta debole e non ha aiutato a comporre testi originali, mentre la memoria ha faaticato a ricordare le frasi appena scritte;
- nel secondo caso, i partecipanti hanno utilizzato l’intelligenza artificiale come supporto e non in sostituzione delle proprie capacità, producendo testi più ricchi e complessi.
Ciò dimostra che l’IA è uno strumento da usare in modo consapevole e non come una scorciatoia. Lo stesso premio Nobel Giorgio Parisi ha notato come le IA tendano a compiacerci senza aggiungere nulla al nostro pensiero, e diversi insegnanti hanno segnalato le criticità dei chatbot a scuola.
Cosa fare allora? Le conclusioni dello studio sono chiare e preoccupanti: l’intelligenza artificiale non può sostituire la creatività dell’individuo, e ciò è fondamentale in un contesto educativo come la scuola. Il rischio? Una generazione che non riconosce più come nasce un’idea, perché non le appartiene, ed è pertanto più manipolabile. Meno libera.