La scuola come “inferno”, come una “gabbia”, persino come un “manicomio”. È quanto emerge da una ricerca condotta dalla sociologa Rita Fornari su 150 studenti romani, con l’obiettivo di comprendere qual è la loro percezione della scuola italiana.
Si tratta di un dato che fa riflettere, perché racconta una realtà molto diversa da ciò che siamo abituati a pensare. Non una scuola che si vuole “seconda casa”, quindi, ma un’immagine forte e per nulla positiva. Se non a determinate condizioni, come emerge dall’indagine.
Un luogo del disagio
A riportare la notizia è il Venerdì di Repubblica : la ricerca condotta dalla sociologa parte da una domanda in apparenza semplice: “Se dovessi descrivere la scuola con una metafora, quale useresti?”. Le risposte non si sono fatte attendere.
Sono molti gli studenti che descrivono la scuola come un luogo di oppressione e costrizione. Le immagini più ricorrenti sono quelle della gabbia, del manicomio, dell’inferno o al massimo del purgatorio. Tutte metafore che evocano una diffusa sensazione di disagio.
Ci sono poi studenti che si rifanno all’arte e paragonano la scuola all’opera più conosciuta del pittore norvegese Edvard Munch, L’urlo. Altre immagini vedono nella scuola un vero e proprio tribunale, in cui ogni parola viene giudicata e ogni voto negativo diventa una condanna.
Non tutti gli studenti vedono tuttavia nella scuola quel luogo oppressivo che emerge dalla maggior parte delle risposte all’indagine di Rita Fornari. Nel novero delle risposte non mancano immagini più ottimistiche, in cui la scuola è vista come una casa o un luogo luminoso, con tante possibilità di crescita. Per alcuni studenti la scuola addirittura ricorda l’accademia greca, simbolo di cultura e dialogo, ma il paragone finisce lì.
Le interpretazioni più positive fanno infatti riferimento più alla scuola “come dovrebbe essere” che alla scuola come realmente è. E quindi si torna a versioni più stemperate delle metafore più pessimiste, che abbiamo già visto nel paragrafo precedente.
In particolare, è emblematica la metafora secondo cui la scuola sarebbe la “prima casa dei tre porcellini”: un luogo fragile e mal costruito. D’altronde, in molti hanno già puntualizzato la crisi dell’istruzione: secondo il docente e comico Filippo Caccamo, la scuola è un ubriaco che reagisce lentamente ai cambiamenti. Piergiorgio Odifreddi non usa mezzi termini e accusa la scuola di essere anacronistica, mentre per Paolo Crepet si tratta di un’istituzione che al massimo istruisce, ma non educa.
Scuola in crisi o giovani impreparati?
Insomma, che la scuola abbia delle profonde criticità non è certo un mistero, ma ciò che colpisce è la rassegnazione dei giovani interpellati. Secondo questi ultimi, non c’è alcun miglioramento all’orizzonte: la situazione è destinata a peggiorare o, al massimo, a rimanere invariata. Una magra consolazione.
Allo stesso tempo, è naturale chiedersi se davvero la scuola sia in crisi oppure se, in alternativa, siano gli studenti di oggi a non sapere affrontare le difficoltà. Eppure, le loro metafore hanno una capacità di sintesi e una forza che non possono essere derubricate come semplici fragilità di una generazione.
Detto in altri termini, se i giovani vivono la scuola come un luogo ostile, il problema non può essere soltanto loro. Al contrario, è il segnale di una fatica a comprendere il presente, nonché un campanello d’allarme per un cambiamento che appare oggi più che necessario.
La didattica frontale ancora in uso, il peso eccessivo dei voti, il focus eccessivo sulla competizione sono tutte criticità da affrontare. E che, insieme ai tanti altri problemi, spiegano le metafore degli studenti nella ricerca condotta da Rita Fornari.
D’altronde, dare voce agli studenti significa ascoltare chi la scuola la vive ogni giorno, generazione dopo generazione. Varrà anche la pena fare un tentativo, no?