Umberto Galimberti non è certo nuovo a opinioni divisive, soprattutto relative al mondo della scuola. Se spesso il filosofo si è concentrato sul declino degli insegnanti, troppo interessati alle nuove tecnologie o troppo innamorati dello stipendio, adesso è il turno dei genitori e del loro ruolo.
Durante un recente intervento , infatti, Galimberti ha avuto modo di analizzare la crisi della scuola a partire dal fallimento della famiglia. Con alcune indicazioni per uscire dal pantano in cui la società si trova oggi.
Un problema che riguarda la società intera
Per arrivare a parlare della crisi della famiglia, e della conseguente crisi della scuola, Umberto Galimberti parte dalla crisi della società. Quest’ultima è infatti vittima dell’individualismo, tanto da rendere molto più difficile per i giovani trovare una propria identità. Come spiega il filosofo:
L’identità è un dono sociale: ce la danno il riconoscimento e i misconoscimenti che raccogliamo nella vita. Ma la cultura dominante del cristianesimo ribalta il ragionamento: per loro è necessario avere un’anima da conservare. La cosa importante è salvare l’anima individuale.
Finché continueremo a pensare che l’individuo della società, continua Galimberti, andremo incontro a crisi e storture, come quella contemporanea. Oggi infatti viviamo in un contesto in cui i reati individuali diventano molto più importanti rispetto a quelli che danneggiano l’intera comunità. Con conseguenze che riguardano anche l’educazione e il contesto scolastico.
La scuola non educa più
Anche la scuola è sotto accusa, ma non tutta né tutta allo stesso modo. Secondo Galimberti, infatti, le scuole elementari conservano ancora oggi qualche funzione educativa, ma già dalle medie l’istruzione si dissolve.
La scuola, continua, si trasforma in una sorta di clinica in cui gli studenti vengono etichettati come dislessici, discalculici, disgrafici. E le famiglie? Si approfittano di questa nuova attenzione verso i bisogni educativi speciali e gli alunni con disturbi specifici dell’apprendimento per ottenere percorsi più facili.
Si tratta di un’opinione estremamente divisiva, che se non approcciata con consapevolezza rischia di sminuire l’importanza di una scuola inclusiva come quella moderna. Allo stesso tempo, non è difficile trovare nelle parole di Galimberti una critica all’intero sistema scolastico: sotto tantissime pressioni, non riesce più a svolgere serenamente la sua funzione. Nel rispetto di tutti gli studenti.
Questo è il reale problema, a prescindere dalle considerazioni del filosofo, e dalla loro carica provocatoria.
La critica alla famiglia
Da qui si arriva al ruolo delle famiglie, spesso ignorato ma fondamentale nella crescita dei ragazzi di oggi, nel bene e nel male. Su questo punto Galimberti ha un’idea molto chiara:
I genitori pensano che i figli vengano su come le piante: li riempiono di regali ma quando un bambino riceve tutto smette di desiderare. Guardate le loro camerette, sono piene di giocattoli: il risultato sono giovani disinteressati a tutto.
La disattenzione dei genitori, spiega Galimberti, si paga a caro prezzo soprattutto nei primi sei anni di vita. In questo periodo, infatti, si formano e assumono carattere definitivo le mappe emotive e cognitive dei bambini. Che futuro potranno mai avere se essi vengono affidati a babysitter, dispositivi elettronici e TV, genitori che fanno promesse senza mai mantenerle?
Né la società, né la scuola né la famiglia sono in salute, questa la sintesi del filosofo. Una triade che così mette a rischio il futuro dei giovani: piuttosto che crescere cittadini consapevoli, il mondo di oggi sta allevando generazioni senza desiderio e senso civico. Individui incapaci di affrontare le complessità del mondo.
Per questa ragione, serve un nuovo patto tra famiglia, scuola e società che rimetta al centro l’idea di comunità e inverta una rotta che ormai sembra sempre più avviata. Sempre più definitiva.