La scuola di oggi non sa più formare le nuove generazioni: ha perso autorevolezza e manca di figure adulte capaci di guidare davvero i ragazzi. Questo in breve il duro giudizio di Paolo Crepet sul sistema scolastico italiano, dato in diverse interviste e interventi recenti. Ma non è tutto qui.
Secondo il sociologo, infatti, è l’intero modello educativo ad attraversare una fase di profonda crisi, dalla scuola agli studenti, da questi alle famiglie. E questa crisi si esprime tanto nel disagio dei giovani quanto nel fallimento dei genitori, fino ad arrivare alla perdita di significato della scuola. Che deve correre ai ripari.
La scuola ha perso autorevolezza
Un tempo la scuola era un punto fermo nell’educazione dei giovani, ma oggi l’istituzione scolastica vive una crisi che sembra non avere fine. Il cuore della riflessione di Paolo Crepet è proprio qui: una perdita di autorevolezza della scuola italiana che si riflette nella crescita dei giovani.
Secondo il sociologo, il rispetto per gli insegnanti è crollato e, di conseguenza, si è indebolita anche la capacità della scuola di stabilire regole condivise. Regole che poi contribuiscono alla maturazione dei ragazzi, ma la cui mancanza ha effetti incalcolabili. Si tratta di un fenomeno che ha molteplici cause, come per esempio:
- la crisi della fiducia nelle istituzioni;
- la trasformazione dei modelli familiari;
- l’abuso dei social media, che presentano una realtà distorta.
Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: una scuola che fatica a farsi rispettare, genitori che non vogliono educare e insegnanti costretti a sopperire a questa mancanza da parte della famiglia. Una situazione che può soltanto andare a peggiorare, se non si interviene in modo tempestivo ed efficace.
Il disagio giovanile
Un discorso simile si può fare anche per il crescente disagio giovanile dentro e fuori la scuola, che si esprime in apatia e atti di bullismo. Crepet sostiene che questo disagio nasce dall’educazione ricevuta in famiglia: invece di ascoltare i figli ed educarli, i genitori preferiscono criticare gli insegnanti. Di fatto pregiudicando la crescita dei ragazzi due volte:
- da una parte, non dando loro dei punti di riferimento certi e affidabili;
- dall’altra parte, deteriorando il loro rapporto con gli insegnanti.
Se ad un contesto del genere uniamo anche una scuola in crisi, ecco che allora le aule diventano terreno fertile per il disagio. E non si tratta soltanto di bullismo, che peraltro inizia già alla scuola secondaria di primo grado, ma anche di mancanza di motivazione, disinteresse per lo studio e sfiducia verso il futuro.
Tornare a bocciare
Fra le proposte più forti e divisive di Paolo Crepet c’è poi anche un ritorno alle sanzioni a scopo educativo, come bocciatura. E la ragione è semplice, come lo stesso sociologo conferma in un’intervista al Quotidiano di Puglia quando parla della deriva contemporanea:
C’è un problema di autorevolezza e di ruoli: mamme che vanno con le figlie teenager al concerto, padri che consigliano alle figlie che tipo di abbigliamento comprare per piacere di più e mettere in mostra alcuni parti del corpo, o madri che si fanno consigliare l’intimo da indossare per sedurre. Cosa si vuole insegnare, che esempio si dà? Abbiamo sbagliato, basta ammetterlo e provare a recuperare.
La bocciatura non è una punizione, come spesso viene intesa, ma un atto che ha il compito di insegnare una lezione. Al contrario, promuovere sempre e comunque finisce per svuotare il significato di impegno e merito. Bocciare quando necessario è quindi l’unico modo efficace, all’interno del contesto scolastico, per ristabilire una gerarchia dei valori per i giovani. Allo stesso tempo è anche un monito: non tutto è permesso, non tutto è dovuto. Se educare significa aiutare a crescere, allora ciò è valido non soltanto quando è piacevole. Ma anche quando è scomodo