La scuola ha da sempre il compito di formare i cittadini di domani, ma spesso fatica a tenere il passo con i cambiamenti della società. Fra strumenti ormai superati e una burocrazia asfissiante, è come se la scuola viaggiasse con il freno a mano tirato.
A sottolinearlo è Filippo Caccamo, comico e insegnante precario, che in un’intervista a Domani ha raccontato dello stato attuale della scuola italiana. Non si tratta soltanto di programmi e strumenti vetusti, ma di un’istituzione che non parla più ai giovani e non sostiene chi lavora al suo interno. Un sistema vecchio, in cui gli insegnanti sono oberati da carichi burocratici e compiti inutili, senza il giusto riconoscimento.
La crisi della figura dell’insegnante
La prima questione è la crisi della figura dell’insegnante. I docenti italiani sono infatti fra i meno pagati d’Europa, un dato che incide tanto sulla motivazione di chi già lavora nella scuola quanto sull’attrattività della professione per i giovani laureati. Insomma, di fronte alla domanda “ma chi te lo fa fare di insegnare?” è molto difficile trovare una risposta. Su questo punto Filippo Caccamo ha le idee chiare:
Quello che serve alla scuola di oggi è una rivalutazione della figura dell’insegnante. Serve mettere i docenti in condizioni sicure per insegnare a garantire loro una retribuzione dignitosa. Anche il sistema di reclutamento per come è impostato oggi non funziona più: troppi anni di precariato, troppa incertezza.
Caccamo conclude ricordando la necessità di snellire la burocrazia che i docenti affrontano addirittura prima di poter anche soltanto cominciare ad insegnare. Alla situazione si aggiunge poi anche il precariato, che l’attore e comico conosce bene, e tutte le sue conseguenze: impossibilità di progettare una vita stabile ed effetti sulla qualità dell’insegnamento. Davvero questa è la scuola che vogliamo?
Una scuola troppo lenta a capire l’oggi
Come dicevamo nell’introduzione, anche la scuola ha le sue responsabilità: troppo lenta a capire l’oggi, non è capace di innovarsi in tempo per le nuove generazioni. Strumenti come la LIM o le presentazioni PowerPoint, continua Caccamo, dovevano rappresentare il futuro diversi anni fa. Oggi sono già superati e poco incisivi, ma diventano l’unica possibilità di un’istituzione che decide di rinunciare alle moderne tecnologie.
Eppure, non è tutto perduto, perché nonostante la sua lentezza nel comprendere la modernità, la scuola è ancora un porto sicuro. Queste le parole dell’insegnante a Domani:
Ci tengo a sottolineare che, nonostante la scuola sia lenta nell’adattarsi ai tempi che cambiano, non c’è dubbio che resti un posto sicuro per chi la frequenta. Virtuoso, necessario, perché al centro c’è la componente umana.
E un po’ il problema è esattamente questo: la scuola ha una funzione fondamentale, essenziale, cruciale nella crescita dei giovani. Eppure, è sempre frenata da qualcosa: risorse carenti, cattiva organizzazione, stato di emergenza costante. Così non è possibile costruire un futuro ideale.
Una guida nella società che cambia in fretta
Tempo fa un altro docente, Vincenzo Schettini, ha detto che la scuola non è lenta né noiosa: ad essere troppo veloce è la vita di oggi. Si tratta di una lettura che ha certamente alcuni meriti e che, allo stesso tempo, giustifica la lentezza della scuola ad adattarsi ai cambiamenti della società. Caccamo ne è consapevole, soprattutto quando pensa ai giovani e alla cultura dell’apparenza:
In una società in cui conta “l’issimo”, la vacanza bellissima, il posto fighissimo, essere ricchissimo, insegnare è chiaramente un mestiere con pretese diverse da quella economica: umane, culturali, psico-pedagogiche. Ecco, vorrei che noi docenti fossimo in grado di insegnare agli alunni anche quanto è bello vivere una vita normale.
La scuola diventa allora una guida in una società che cambia troppo in fretta e fornisce modelli superficiali. Se questo è l’obiettivo, e se gli insegnanti sono quel necessario punto di riferimento per le nuove generazioni, allora è fondamentale ridare loro la dignità che meritano. E che da troppo tempo non c’è più.