È il sogno di ogni studente: andare a scuola e non dover seguire per forza le lezioni. Non è un film, ma un modello di scuola molto apprezzato da docenti, famiglie e alunni: quello dell’Estonia, che sta guidando una vera e propria rivoluzione educativa a livello europeo.
Una scuola più legata alle competenze che ai contenuti, stipendi più alti per i docenti, stop alle cosiddette “classi-pollaio” da 30 studenti, un esame che ponga più attenzione sul saper fare, oltre che sul sapere. Ma soprattutto, un’istruzione che non sia più innovativa a macchia di leopardo.
Quando si parla di miglioramenti nella scuola italiana, queste sono le richieste che da anni docenti e dirigenti scolastici rivolgono al Ministero dell’Istruzione. Il modello italiano è un vanto per la preparazione teorica e culturale che offre, ma quando si parla di riferimenti internazionali d’eccellenza si guarda altrove. L’Italia ha dato al mondo un metodo educativo tra i più apprezzati, quello montessoriano. Eppure, nel nostro Paese è poco diffuso. L’autonomia, l’apprendimento per scoperta e il rispetto dei ritmi individuali del bambino, sono più apprezzati nei Paesi del Nord Europa. È da questi principi, infatti, che nascono i modelli finlandesi o estoni, che ne hanno saputo sfruttare l’idea innovativa.
Il problema è anche strutturale. In Italia non esiste uno standard di insegnamento. Questo spesso penalizza gli studenti italiani, che non ricevono lo stesso tipo di istruzione. È un tema che solleva anche Laura Biancato, dirigente scolastico con una pluriennale esperienza nel campo dell’innovazione, che ha partecipato alla stesura del Piano Nazionale Scuola Digitale.
“Ci sono alcune scuole molto innovative, altre poco, altre ancora per niente”, ammette Biancato. E aggiunge: “Il motivo per cui spesso mi riferisco a paesi stranieri è perché, rispetto all’Italia, quelli del Nord Europa hanno uno standard omogeneo molto diverso”. Le difficoltà sono tante, Biancato ammette che in 30 anni di lavoro la scuola italiana non è mai riuscita a raggiungere uno standard unico. Le regole per selezionare i docenti cambiano di anno in anno, e inoltre i docenti non sono obbligati a fare corsi di aggiornamento. “Sui siti dei ministeri dell’Istruzione degli altri paesi europei ci sono standard professionali previsti per l’insegnamento”, spiega, sottolineando come ciò non garantisca una preparazione costante e di alto livello per tutti i docenti. Ovviamente, le linee guida ci sono, ma non esiste un documento unico in cui i docenti possano verificare gli standard professionali.
Come risultato, in Italia le scuole sono il prodotto di graduatorie che non favoriscono il merito. In molti paesi europei, infatti, i docenti sono scelti dall’istituto stesso. “In Italia questa cosa sarebbe impossibile persino da dire, perché risulterebbe scandalosa”, ammette Biancato, che aggiunge: “Non parlo di una scelta affidata solo al dirigente scolastico, ma a un comitato come in Finlandia”. E poi conclude: “In Italia abbiamo dei supplenti che definirli bravi è dir poco: sono eccezionali. Tra poco li vedrò andare via, senza sapere se li rivedrò mai più, perché l’assegnazione è casuale”. Sono osservazioni importanti, che fanno emergere come l’Italia sia l’unico paese europeo in cui gli istituti non possano scegliere autonomamente il corpo docente.
Quali sono le caratteristiche del modello estone?
Oltre ai problemi strutturali, il modello estone è diverso anche per l’approccio allo studio. Le chiamano “scuole democratiche”, ovvero degli istituti in cui gli studenti possono apprendere ciò che vogliono, senza necessariamente seguire la lezione. L’unico obiettivo è raggiungere specifiche competenze alla fine del percorso scolastico. Nelle scuole estoni si vedono scene che farebbero rizzare i capelli persino al docente più tollerante: alunni che ascoltano la musica con le cuffie durante la spiegazione, studenti che vanno a scuola senza entrare in classe. Non solo, lì non sono i professori a spostarsi di classe in classe, ma gli alunni che cambiano aula dopo ciascuna lezione. È ciò che accade anche in diverse scuole italiane, che hanno adottato l’idea delle avanguardie educative delle “aule laboratorio disciplinari”; inoltre, gli studenti possono usufruire di un intervallo di 20 minuti tra una lezione e l’altra, cosa che favorisce anche la socializzazione tra studenti, migliorando il clima scolastico.
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Ma la vera differenza è che gli alunni non soffrono di ansia: i fenomeni di abbandono scolastico sono pari allo zero. A evidenziarlo è Antonietta Amore, docente del liceo linguistico “Ilaria Alpi” di Cesena e coordinatrice del programma Erasmus+. Nel 2023, Amore ha avuto l’opportunità di svolgere un periodo di job shadowing (lo studio di altri professionisti tramite l’osservazione del loro lavoro) presso una scuola di Tallin insieme ad un gruppo di 15 studenti, così ha deciso di utilizzare un blog come strumento di disseminazione del programma, invitando gli alunni del liceo Alpi -partecipanti alla mobilità Erasmus- a raccontare la propria esperienza formatica attraverso dei brevi articoli. “Abbiamo osservato che gli studenti estoni non manifestano segni di ansia, a differenza di quanto accade nel mio liceo e negli istituti limitrofi, dove sono ormai all’ordine del giorno casi di ragazzi che soffrono di fobia scolare”, spiega, e aggiunge: “È un problema serio, perché vengono a scuola e hanno paura di entrare in classe”. Amore sottolinea che alla base delle scuole democratiche estoni c’è il principio secondo il quale bisogna lasciare la libertà agli studenti di decidere cosa e come studiare. Vivono in ambienti sereni e non considerano il voto come un giudizio verso la persona. Poi fanno i test e, se non li passano, sono i primi a richiedere il supporto del docente, che svolge il ruolo di mediatore dell’apprendimento ed è un alleato di studenti e famiglie nel raggiungimento degli obiettivi formativi.
Per questo motivo c’è maggiore rispetto nei confronti degli insegnanti, la cui professionalità è stata notevolmente valorizzata con un rilevante aumento della loro retribuzione: infatti il loro stipendio è cresciuto di oltre il 50% negli ultimi anni.
Le esperienze Erasmus sono molto significative ai fini dell’apprendimento; durante il periodo di mobilità all’estero gli studenti sono considerati presenti fuori aula perché frequentano la scuola in un altro paese europeo. Non è un periodo di vacanza ma una occasione per conoscere una nuova cultura e sviluppare quelle competenze trasversali che sono tanto richieste nel mondo del lavoro. Purtroppo spesso la scuola italiana è ancora troppo ancorata ai contenuti e dunque agli studenti Erasmus viene spesso richiesto di “recuperare” le verifiche e le interrogazioni che sono state svolte durante la loro assenza”.
Per lei la scuola italiana dovrebbe invertire la rotta: i contenuti sono importanti, maggiormente ma solo perché finalizzati allo sviluppo delle competenze. “Ad esempio, nell’era dell’intelligenza artificiale che attualmente stiamo vivendo, perdono di senso alcuni compiti ripetitivi che spesso si continuano ad assegnare agli studenti”, dice Amore, e conclude: “Bisognerebbe pensare invece a nuovi compiti da svolgere, anche con l’aiuto delle nuove tecnologie che puntino a sviluppare competenze di problem solving”.
Ma quindi, come si fa a realizzare un modello uniforme e innovativo anche in Italia? Senza rifiutare la tecnologia categoricamente, introducendola all’interno delle lezioni. Per esempio, Biancato dice che nel suo istituto i ragazzi hanno tutti un tablet o un notebook, che possono utilizzare per le attività didattiche. Le aule sono dotate di tasche per riporre il proprio smartphone: si utilizza solo in caso di necessità. E per i ragazzi che si distraggono? “Nonostante io lavori perché stiano bene, penso che le regole siano importantissime”, chiarisce Biancato, e aggiunge: “Se capita che l’alunno usi il cellulare in classe per motivi non didattici, viene sanzionato”.
Allo stesso tempo, non ha dubbi che l’apprendimento oggi sia cambiato. Per questo è fondamentale evitare che un docente entri in classe e stia a parlare per 50 minuti. “È chiaro che in questo modo gli studenti di oggi si annoiano”.
Sono lontani i tempi in cui le scuole non erano in grado di sostenere un’istruzione innovativa per via della mancanza di fondi. “Ci sono e anche tanti, il tema è saperli usare bene”, dice Biancato, che sottolinea come in realtà un grande ostacolo al cambiamento sia uno dei problemi che da anni affligge la pubblica amministrazione italiana: la burocrazia.