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LETTURE

Le parole emozionano e anche i miti più antichi possono aiutare i bambini a dare un nome alle emozioni che provano

Bisogna parlare ai ragazzi di cose che li riguardano direttamente. Solo così possiamo accendere in loro la voglia di imparare. A pensarlo è Cristina Dell’Acqua, docente e autrice, che quest’anno ha scritto la rubrica “Parole per emozionare”, portando nelle scuole primarie un modo nuovo di comunicare e trasmettere curiosità ai bambini: l’utilizzo dei miti per riflettere sulle emozioni.

La sezione realizzata dall’autrice è parte integrante del volume Direzione Letture 4-5 link esterno, un corso riconosciuto a livello ministeriale con lo scopo di accompagnare gli alunni della scuola primaria nello sviluppo delle competenze di lettura e scrittura, attraverso un percorso strutturato in modo chiaro e accessibile. Oggi infatti, con le intelligenze artificiali e le nuove tecnologie che si inseriscono sempre di più nei contesti scolastici, è sempre più importante – se non fondamentale – trovare un approccio che attivi negli studenti la loro parte empatica.

Insieme all’autrice, quindi, abbiamo approfondito quanto sia importante riflettere sul significato delle parole e sulle emozioni che possono generare. Proprio tramite il linguaggio, infatti, contribuiamo a dare forma al mondo. È giusto quindi apprendere fin da piccoli quale sia il modo migliore per farlo.

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Dell’Acqua, cosa l’ha spinta a realizzare “Parole per emozionare”? Da dove è nata l’iniziativa?

L’idea è nata durante Educability, per cui ho fatto da relatrice. Solitamente utilizzo il mito come strumento da proporre ai bambini, anche se in quel contesto il mio pubblico era composto da insegnanti delle scuole elementari. Per me la mitologia è fondamentale da sempre. Avendo la fortuna di insegnare in una scuola, quando ho bisogno di una boccata di ossigeno ho spesso l’abitudine di andare dalle mie colleghe a raccontare i miti ai bambini. Sono convinta del fatto che siano un veicolo per raccontare per immagini e immaginazione dei contenuti importanti, specialmente quelli emotivi.

Qual è il mito che rappresenta al meglio questo periodo storico che stiamo vivendo?

Più di uno. Sicuramente c’è quello di Icaro, ma anche quello di Prometeo. Entrambi, infatti, intercettano gli stessi temi: da un lato c’è la paura – da parte dei ragazzi – di diventare grandi, quella di sognare e di visualizzare il futuro. Dall’altro lato, ci sono le preoccupazioni degli adulti, ovvero le paure di “dare le ali” ai ragazzi, di fornire loro gli strumenti necessari alla crescita. Queste sono generazioni che fanno davvero fatica a visualizzare la paura, presente in ogni età. In questo periodo storico noto una forte incapacità di visualizzare la paura, e quindi di affrontarla, senza che la si debba necessariamente risolvere.

Quindi possiamo dire che “paura” è una parola che è in grado di emozionare?

Secondo me sì. Tutti ne abbiamo e ogni creatura, tanto più un bambino, la prova. Dalle cose più semplici, come un film, fino alle aspettative in età adulta.

Tra le parole che ha scelto c’è “ricordi”. Fa pensare che i ragazzi, che ne hanno ancora pochi, debbano riflettere su questo termine. Perché?

Ne hanno pochi, ma sono importanti. Per questioni di età ne hanno di meno, ma sono fondativi. Stiamo parlando dei primi ricordi, quelli con un genitore, con un amico o a scuola. Secondo me è tanto più importante quanto prima si inizia a considerare l’importanza del ricordare chi siamo, da dove veniamo e di cosa siamo il prodotto. Emotivamente credo che il ricordo sia qualcosa che ci ancora alle nostre radici. Ma è molto di più, può anche avere la funzione di catena. È in grado, quindi, di riportarci a un tempo passato, ma allo stesso tempo è capace di motivarci e, grazie a quell’esperienza, ad andare avanti nel presente.

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Qual è il ruolo delle emozioni, soprattutto a scuola?

A mio parere, se fatta in maniera corretta, l’educazione affettiva ed emotiva è quella che ci aiuta di più, perché ci insegna a creare un equilibrio nella nostra vita. Il rapporto con le emozioni è più determinante in un luogo in cui si apprende rispetto a un posto di lavoro, per esempio. Ed è interessante cominciare a scoprire le emozioni il prima possibile; bisogna capire da subito che esistono, che hanno un nome e che possono essere sia positive che negative. Sapere che ci sono è già una parte della costruzione del nostro equilibrio.

E per lei la parola “amicizia” cosa significa?

Mi emoziona come parola perché è una delle fondamenta della vita. È una forma d’amore, termine con cui ne condivide l’etimologia. È il collante di molte cose: esiste l’amicizia tra coetanei, tra persone più adulte di noi, tra alunno e maestro. È una guida reciproca: siamo di supporto agli altri, ma anche loro lo sono per noi. Ma soprattutto, l’amicizia determina la qualità del nostro tempo, dei nostri pensieri e delle nostre conversazioni.

C’è una parola che abbiamo dimenticato di cui dovremmo tornare a emozionarci?

Credo la “speranza”. Non è che l’abbiamo scordata, ma attualmente non ci emoziona più come una volta. Temo che la tendenza sia a disilluderci, e questa difficoltà ricade poi sui più giovani. Per questo dobbiamo “sperare l’insperabile”, come diceva Eraclito, e tornare a provare emozioni per questa parola. È un termine che proviene dal latino e ha dentro di sé l’idea del movimento. Senza di essa è difficile muoversi, e per la proprietà transitiva, di conseguenza, passare ai giovani lo stesso concetto.

Nella sua formazione si annovera anche un’esperienza negli Stati Uniti, che hanno una cultura molto diversa da quella europea. Che peso danno alle parole? Sono in grado di emozionarsi?

Secondo la mia esperienza, sì. Lo fanno in modo diverso, ma per me è stato molto utile imparare il “Learning by doing”. È caratteristico della mentalità anglosassone ed è qualcosa che manca invece a noi, ovvero la parte dei laboratori. Affiancare il loro metodo a quello nostro è stato illuminante. Il laboratorio ha lo scopo di farti fare intorno alla parola dei ragionamenti che servono a elaborare dei pensieri.

Cosa si aspetta da “Parole per emozionare”?

Senza dubbio che si accendano delle curiosità. Ho avuto spesso la sensazione che tendiamo a sottovalutare i nostri bambini e i nostri giovani, anche sulla loro capacità di rimanere concentrati. Secondo me i contenuti che parlino di loro possono essere interessanti e in grado di accendere in loro la voglia di imparare. Se uno ce l’ha negli occhi la curiosità, vede ciò che altri non riescono a notare. In ogni caso, mi è stato detto che “Parole per emozionare” è stato accolto positivamente dagli insegnanti, di questo ne sono molto contenta.

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