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Meno alunni, più classi a rischio. L’Italia tocca il minimo storico di nascite

Non sono incoraggianti i segnali che emergono dal rapporto ISTAT sugli indicatori demografici link esterno per il 2024. I dati raccolti dall’istituto italiano di statistica, infatti, fotografano una situazione demografica estremamente complessa, con un nuovo minimo storico per la natalità e famiglie sempre più ristrette.

Oltre a rappresentare una sfida per l’intera società, la crisi demografica delinea uno scenario altrettanto complesso per la scuola, che già deve far fronte a diversi problemi di lungo corso. Vediamo quali sono i rischi e le possibili soluzioni, stando anche alle parole del ministro Valditara.

i dati regione per regione

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Come dicevamo nell’introduzione, il 2024 ha segnato un nuovo record negativo per il tasso di fecondità in Italia. In pratica, il numero medio di figli per donna è sceso a 1,18, un valore inferiore sia a quello del 2023 sia al minimo fatto registrare nel 1995, anno in cui erano comunque nati il 30% di bambini in più. La situazione, rileva l’ISTAT, colpisce in modo simile tutte le regioni d’Italia, con un tasso di fecondità di:

  • 1,19 nel Nord Italia, in calo rispetto a quello di 1,21 del 2023;
  • 1,12 nel Centro Italia, invariato rispetto all’anno precedente;
  • 1,20 nel Sud Italia, in calo rispetto a quello di 1,24 del 2023.

Come si vede, il meridione fa registrare il calo più marcato ma, nonostante ciò, rimane l’area più feconda del Paese. I dati regionali seguono questo trend, con il Trentino Alto Adige, la Sicilia e la Campania in cima alla classifica: maglia nera la Sardegna, con un tasso di fecondità di 0,91.

Se la fecondità si abbassa, l’età del parto si alza più o meno in tutta Italia, con una media di 32,6 anni, 0,1 in più rispetto al 2023. Anche qui i dati non variano molto e vanno dai 32,7 anni al Nord, ai 33 anni al Centro, fino ad arrivare ai 32,3 anni al Sud: differenze, sì, ma non così marcate come potrebbe sembrare a prima vista.

i timori diel Ministro dell’Istruzione

Della crisi demografica ha avuto modo di parlare anche Giuseppe Valditara, intervenuto al Forum Internazionale sulla Qualità della Vita di Ascoli Piceno link esterno. Il ministro ha evidenziato i collegamenti fra la situazione fotografata dall’ISTAT in Italia e l’istruzione, affrontando temi come il benessere e la consapevolezza dei cittadini. Queste le sue parole:

In un Paese come l’Italia, dove la questione demografica influenzerà sempre di più le scelte di governo, è fondamentale creare le condizioni per favorire nuove nascite, partendo da un sistema educativo che garantisca tutela e consapevolezza sin dall’infanzia.

L’istruzione è vista quindi come un elemento strategico per affrontare le conseguenze della crisi demografica. Allo stesso tempo, però, non si possono dimenticare i rischi che la scuola corre proprio a causa di questo fenomeno. Dalla riduzione del numero di studenti alla necessità di organizzare il lavoro dei docenti, la riduzione delle nascite impone un ripensamento profondo della funzione educativa.

Le conseguenze

Al netto delle parole di Valditara, la diminuzione del numero di bambini si traduce necessariamente in una riduzione degli iscritti, con effetti diretti sulla struttura del sistema scolastico e su altri settori della vita pubblica, come l’editoria. Se le classi diventano sempre meno numerose, aumenta il rischio di accorpamenti soprattutto in comuni piccoli e isolati: anche questo fenomeno contribuisce allo spopolamento di intere zone. Per non parlare delle pluriclassi, in cui studenti di diverse età condividono lo stesso spazio educativo, o delle conseguenze per i docenti, a rischio mobilità.

Un evento che sembra slegato dal resto della società, come la diminuzione del tasso di fecondità, non ha soltanto cause eterogenee ma anche conseguenze estremamente ramificate. Studenti e famiglie, scuole e personale risentiranno del fenomeno in modi che ancora non è possibile prevedere del tutto. Cosa fare allora? La crisi demografica potrebbe costituire un’opportunità per ripensare il sistema scolastico in chiave innovativa. Con meno studenti verrebbe meno il ricorso forzato alle classi pollaio, con più docenti sarebbe possibile una didattica personalizzata con maggiore attenzione alle esigenze individuali degli alunni. Tutto dipende da decisioni prese con un piano concreto in mente e non, come spesso accade, da slogan buoni soltanto nell’immediato, o poco più.

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