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EDUCAZIONE

Pigro, disordinato o anche intelligente. Etichettare un figlio significa bloccarlo

Etichettare un bambino come “pigro”, “capriccioso” o “disordinato” può influire sulla sua personalità e sulla formazione della sua identità. A sostenerlo è la professoressa Elisa Fazzi, Presidente della Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, in un’intervista rilasciata al Corriere della Sera link esterno. Magari genitori e docenti non se ne rendono conto, ma le parole che usano hanno un impatto diretto sulla crescita dei più giovani. Come fare allora?

Il peso delle etichette negative

Come ricorda Elisa Fazzi, le etichette sono giudizi che i genitori e gli insegnanti usano nei confronti dei bambini. Utilizzate per descrivere comportamenti, emozioni e caratteristiche dei ragazzi, le etichette rischiano tuttavia di giocare un ruolo molto più diretto nella loro crescita. Si tratta di giudizi negativi che, pur involontariamente, creano una gabbia entro cui il bambino sarà portato a muoversi. Secondo Fazzi, l’effetto è quello di una profezia che si autoavvera:

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Il bambino si aspetterà lo stesso risultato da se stesso in situazioni simili: “Non sono bravo in matematica, quindi so già che non capirò l’esercizio”, e questo potrebbe condizionare la sua crescita riducendo le possibilità e, anzi, portandolo ad avverare quel che ci si aspetta dai giudizi su di lui.

Un ragazzo etichettato come pigro sarà portato a comportarsi come pigro perché non vede alternative, e così farà un ragazzo “disordinato” o un bambino “monello”. Da questo punto di vista, le etichette finiscono per costringere i più giovani all’interno di una gabbia che li accompagnerà per tutta la vita.

Il peso delle etichette positive

Non sono soltanto le etichette negative a pesare negativamente sulla crescita dei ragazzi, quanto anche le etichette positive. Complimentarsi in modo eccessivo con i figli e con gli studenti è un’abitudine potenzialmente dannosa, perché è un’azione che trasmette un’immagine di perfezione irraggiungibile. Non esiste errore e non esiste crescita: esiste soltanto la perfezione.

Eppure, sostiene Elisa Fazzi, gli errori sono inevitabili e il successo a prescindere è soltanto un’illusione. Se un bambino viene considerato costantemente il migliore, un fallimento potrà risultare ancora più devastante. Piuttosto che rappresentare una normale tappa del processo di crescita, costituirà una battuta d’arresto e un trauma dal quale non è facile riprendersi. Come fare allora?

Come rivolgersi ai bambini senza etichettarli

Il problema risiede quindi nell’uso che i genitori e i docenti fanno delle etichette, e nelle conseguenze sulla crescita dei più giovani. Per questa ragione, secondo Fazzi, è importante utilizzare le parole in modo costruttivo ed evitare i giudizi definitivi. Anche i bambini meno bravi possono migliorare e anche i bambini più bravi possono commettere errori. Piuttosto che etichettare i figli sulla base delle loro caratteristiche personali, è più utile concentrarsi sui comportamenti specifici. Queste le parole della neuropsichiatra:

L’etichetta inquadra e classifica, è una lapide che non si muove più. Invece, parliamo di bambini che un giorno sono bravi, un giorno meno. Cerchiamo di mantenere viva la possibilità di migliorare o di accettare la caduta. I bambini per loro definizione cambiano e un’etichetta non può bloccare un essere in movimento per definizione.

Per Elisa Fazzi non è mai troppo tardi per apportare cambiamenti positivi all’educazione dei propri figli o all’insegnamento in classe. Da questo punto di vista, non si tratta di rinunciare al proprio ruolo educativo ma di considerare sempre la possibilità di cambiamento dei bambini. D’altronde, è impossibile cristallizzare qualcosa che per definizione cambia di continuo: sarebbe una costrizione della quale facciamo volentieri a meno.

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