Il futuro della scuola si fa sempre più incerto. A dirlo è Paolo Crepet che, in un’intervista al quotidiano La Stampa
, ha tracciato un quadro poco rassicurante del mondo dell’educazione. Secondo lo psichiatra e sociologo, il cambiamento innescato dalla diffusione dell’intelligenza artificiale rischia di spegnere l’ambizione, la curiosità e la cultura del sacrificio.
Di conseguenza, in un’epoca in cui tutto diventa immediato e semplificato, la scuola smarrisce il proprio ruolo e valore. A rischio non c’è tuttavia soltanto la didattica, quanto la capacità stessa di pensare in modo libero.
Una scuola senza ambizioni
Paolo Crepet non è nuovo a opinioni, anche divisive, sulla scuola e sul ruolo che l’educazione ha in una società sempre più frenetica come la nostra. Se però in passato lo psichiatra e sociologo si è concentrato sul rapporto fra genitori e figli e sulla funzione degli insegnanti, adesso il bersaglio è l’intelligenza artificiale.
Nel suo ragionamento, Crepet parte da lontano, dalla continua semplificazione a cui la scuola è andata incontro negli ultimi anni. Queste le sue parole:
La fatica e il sudore sono, per qualcuno, qualcosa di novecentesco, che non ha più senso fare. Ma così la scuola, che era un luogo per definizione esigente, e che lo è sempre stata anche se è stata criticata per questo, non avrà più ambizioni.
Il problema è proprio questo: se l’intelligenza artificiale consente di fare tutto “senza sbagliare”, si rischia di perdere la fatica e la soddisfazione di comprendere qualcosa. La scuola, che nasce per stimolare la mente degli studenti, diventa di conseguenza un ambiente passivo. Conta solo il risultato, non il percorso.
L’apprendimento nell’era dell’intelligenza artificiale
Un risultato che l’intelligenza artificiale fornisce senza alcuno sforzo: non importa che possa essere sbagliato o frutto di un algoritmo, a patto che sia “abbastanza”. Una vittoria della mediocrità, ossia di uno strumento che tende a compiacerci o, come ha scoperto uno studio recente, può anche renderci più stupidi.
Secondo Paolo Crepet, il cambiamento è sotto gli occhi di tutti ma coglie tutti impreparati:
Non ho la risposta, ma so cosa sta arrivando. Oggi metà degli studenti universitari americani si è laureata con l’intelligenza artificiale. È evidente dove stiamo andando. Non voglio apparire apocalittico, ma la formazione diventerà su misura, sarà una chat che risponde ai tuoi requisiti, alle tue domande. E lo fa perché sa tutto di te.
Il problema è proprio questo e riguarda tutti, dicevamo, ma soprattutto gli adolescenti. Se questi ultimi preferiscono confidarsi con i bot di intelligenza artificiale, il risultato è una generazione che evita lo sforzo emotivo del confronto reale. Apprendimento personalizzato, interazioni semplici, assenza del sacrificio sono tutti prodromi di un mondo che sceglie la via più semplice e prevedibile. Ma non necessariamente la più giusta.
Il futuro della scuola
Il rischio è chiaro, e Paolo Crepet lo delinea senza mezzi termini: una società di replicanti che sanno tutto ma non pensano più con la propria testa. Ma non solo: se l’intelligenza artificiale risponde a requisiti, domande, interazioni, allora perché uscire a cercare qualcuno con cui parlare davvero?
Pur vivendo costantemente connessi, all’interno di social media e chat IA, i giovani finirebbero per sentirsi sempre più soli, sempre più isolati.
In un quadro così delineato, la scuola si trova in una posizione paradossale: da una parte, ha un futuro sempre più incerto a causa dei cambiamenti della società; dall’altra parte, rimane ancora oggi un baluardo contro l’omologazione del pensiero. Per farlo, deve tuttavia tornare a formare cittadini consapevoli, puntando sul merito e non sulla semplificazione a tutti i costi.
Alla domanda “si può ancora intervenire”, il sociologo e psichiatra risponde in modo affermativo, ma soltanto “attraverso la conoscenza”. Una conoscenza ottenuta soltanto con l’impegno e il sacrificio, e non altrimenti.










