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Tre bambini di 4-5 anni ogni 50 non vanno alla scuola d’infanzia, cioè entrano nella primaria senza mai aver frequentato la scuola

Quando si parla di frequenza scolastica, il dibattito tende spesso a concentrarsi sulla dispersione e sull’abbandono degli studi da parte dei giovani. Si tratta di problematiche molto presenti nella scuola italiana, e la cui risoluzione richiede politiche che agiscano a livello sistemico.

C’è tuttavia un altro dato che merita attenzione, il numero crescente di bambini che non frequentano la scuola dell’infanzia e passano direttamente alla scuola primaria. Secondo una recente rilevazione ISTAT link esterno, infatti, il loro numero è triplicato negli ultimi 10 anni.

I dati ISTAT

A rilevare il dato sui bambini che non frequentano la scuola dell’infanzia è l’indagine ISTAT dedicata al BES dei territori, ossia al loro Benessere Equo e Sostenibile. Secondo i risultati, la percentuale di bambini che si iscrivono direttamente alla scuola primaria è del 6%, ma 10 anni fa era del 2,1%.

In pratica, 3 bambini su 50 nella fascia d’età 4-5 anni sono fuori dal sistema di istruzione, il triplo rispetto al 2014. Di fronte a risultati del genere, c’è di solito una doppia spinta:

  • da una parte, il tentativo di comprendere le cause del fenomeno;
  • dall’altra parte, l’analisi della distribuzione territoriale del fenomeno.

Nel primo caso, sembra che si possa escludere un forte impatto della pandemia nella decisione dei genitori di non iscrivere i loro figli alla scuola dell’infanzia. Secondo l’ISTAT il valore era già in crescita ben prima del 2020.

Nel secondo caso, ci sono differenze abissali fra Nord e Sud Italia, ma non come si potrebbe pensare. In regioni come Lombardia, Veneto e Lazio la percentuale di bambini che non frequentano la scuola dell’infanzia è rispettivamente all’8%, al 7% e al 12%. Al contrario, regioni come la Campania e la Calabria registrano percentuali dell’1,3% e del 3% rispettivamente.

Vaccini obbligatori e istruzione parentale

Altro elemento preso in considerazione dalla rilevazione ISTAT è quello riguardante la questione delle vaccinazioni obbligatorie. Secondo la legge italiana, infatti, la mancata vaccinazione comporta l’esclusione dei bambini sotto i 6 anni dalla scuola dell’infanzia. Allo stesso tempo, circa il 5% dei bambini sotto i 3 anni non ha ricevuto il vaccino contro malattie come tetano, poliomielite e morbillo.

In un quadro così delineato, interviene anche il ricorso di alcune famiglie all’istruzione parentale o ad asili privati che non vengono considerati nelle rilevazioni dell’istituto di statistica. Detto questo, l’istruzione parentale non può essere vista come una mera conseguenza della decisione di non iscrivere i figli alla scuola dell’infanzia. Al contrario, i genitori devono dichiarare anno dopo anno la capacità di provvedere all’insegnamento, con verifiche periodiche da parte di scuole statali o paritarie.

asili nido

Come abbiamo visto, il dato sui bambini che non frequentano la scuola dell’infanzia riflette una tendenza abbastanza uniforme degli ultimi 10 anni. Spiegabile con il ricorso all’istruzione parentale e con la diminuzione dei vaccini obbligatori, costituisce un fenomeno da indagare con attenzione.

Eppure, c’è un fenomeno simile che però fa registrare un trend completamente opposto, e riguarda gli asili nido. Si tratta di una questione complessa e dalle tante variabili:

  • da una parte, l’Unione Europea ha stabilito il valore minimo in 33 posti di asilo nido ogni 100 bambini;
  • dall’altra parte, a livello nazionale l’offerta è passata da 22 a 30 posti ogni 100 bambini negli ultimi 10 anni.

Al netto dell’aumento nell’ultimo decennio torna anche qui il divario territoriale, che vede il 24% dei bambini frequentare gli asili nido nel Nord Italia, percentuale che scende al 13% nel Sud Italia. Da questo punto di vista è altrettanto importante considerare i costi della retta, che sono già alti negli asili nido comunali e possono anche raddoppiare negli asili nido privati.

Quale che sia la prospettiva, i dati ISTAT sull’istruzione dei più piccoli mostrano un quadro molto complesso, in cui le disuguaglianze territoriali e le barriere economiche hanno un peso preponderante. Come spesso accade, sono necessari interventi mirati e una pianificazione attenta che sappia garantire un futuro più inclusivo a tutti i bambini. Magari anche prima della prossima rilevazione.

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