Il rapper Marracash, intervistato dal quotidiano La Stampa , ha presentato il suo ultimo album di inediti ma, allo stesso tempo, ha affrontato il rapporto dei giovani con il successo e con il fallimento.
Dietro agli artisti che non riescono a reggere le pressioni dovute alla notorietà, sostiene Marracash, c’è una società della quale troppo spesso si sottovaluta l’impatto sulle nuove generazioni. Già a partire dalla scuola.
L’apparenza dei social
Noto per la sua musica non banale, in un panorama artistico che spesso si rivela privo di profondità, Marracash si mostra da subito consapevole di ciò che ha intorno. Il suo album “È finita la pace” mostra come sia ancora possibile distanziarsi dagli stereotipi contemporanei senza perdere in identità.
E proprio l’aderenza ai dettami e alle mode della società, veicolati dai social media, sta al centro dell’intervista concessa dal rapper alla Stampa. Queste le sue parole:
I social hanno un ruolo gigantesco, sono il contrario della libertà perché non permettono di essere autentici. Siamo diventati algoritmi noi stessi. Per fare questo disco mi sono chiuso in una bolla senza social, senza nulla e ho osservato.
Al di là della nostra bolla personale, ossia un sistema di relazioni entro il quale troviamo un senso di appartenenza, ce ne sono molte altre. E il caso dei social è emblematico.
Il problema del successo
Fra le sirene che attraggono tantissimi giovani, una delle più pericolose è senza dubbio quella del successo, che spesso spinge gli artisti oltre i loro limiti. Marracash parla proprio del momento in cui il rapporto con il successo diventa tossico e impossibile da gestire, soprattutto quando si manifesta tramite gli hater online. Il rapper confessa:
Conosco molti colleghi che vivono il successo molto male. La realtà è che i ragazzi non sanno più a chi dar retta e un hater che li sfotte è capace di mandarli al manicomio.
Si tratta di un problema che assume caratteristiche generazionali e che non colpisce soltanto gli artisti o i colleghi di Marracash. Oggi infatti è noto come i giovani non abbiano più punti di riferimento che permettano di agire in modo consapevole.
E la scuola gioca un ruolo cardine in questa dinamica: secondo Umberto Galimberti, per esempio, la scuola istruisce ma non educa, mentre Eraldo Affinati punta il dito contro il disinteresse da parte dei docenti nei confronti dei loro alunni. Alunni che non sono tuttavia esenti da responsabilità, ma risentono delle influenze di una società sempre più veloce e superficiale.
I giovani senza più un modello
Il problema del successo è quindi, nelle parole di Marracash ma anche nel dibattito scolastico, un problema di riferimenti. Molti giovani artisti si concentrano sul successo immediato e su poco altro:
I ragazzini che fanno due dischi e si sparano le pose con gli orologioni, le macchinone, le griffe, i party e quattro autori che scrivono per tutti i cantanti sembrano infischiarsene di ciò che succede nel mondo. Quando noi abbiamo cominciato volevamo durare nel tempo mentre le nuove generazioni vivono con l’ansia del tutto e subito.
Una critica lucida che chiama in causa non solo i giovani, ma anche la società all’interno della quale è impossibile trovare riferimenti positivi. Si tratta di un contesto che rende estremamente più importante il ruolo della scuola, che ha il compito di agire a molte e affrontare alla radice questi problemi. A partire da una maggiore consapevolezza delle proprie potenzialità, e delle proprie responsabilità.