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OPINIONI

Il fallimento e lo smarrimento dei propri figli sono momenti formativi, per Recalcati “i genitori di oggi sono troppo preoccupati di farsi amare”

Che lo si sottovaluti o meno, il disagio giovanile è uno dei fenomeni principali che caratterizzano la nostra società. Oggi i giovani vivono in contrapposizione ad un mondo nel quale faticano a trovare il proprio posto, e che anzi percepiscono come ostile.

A parlarne è lo psicanalista Massimo Recalcati, ospite della trasmissione In Mezz’ora su Rai 3 link esterno, che tenta di approfondire la questione andando a cercare le cause e le modalità di espressione del problema. Se il mondo è competizione selvaggia e catastrofe, sostiene, è normale chiudersi nella violenza e nell’evasione.

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Secondo Recalcati, il punto di inizio del disagio giovanile va trovato entro i confini di una nuova crisi educativa, problema che coinvolge tanto le famiglie quanto il sistema scolastico. Con una posizione non dissimile da quella di Paolo Crepet, lo psicanalista si concentra sul rapporto fra genitori e figli:

Oggi entrambi i genitori sono più preoccupati di farsi amare dai loro figli che di educarli. Più ansiosi di proteggerli dai fallimenti che di sopportarne il conflitto, e dunque meno capaci di rappresentare ancora la differenza generazionale.

Il divario fra desiderio di essere amati e necessità di educare i figli trasforma nel profondo la figura genitoriale, aumentando le sue fragilità. A ciò si unisce poi l’idea di istruzione basata sulle performance, oggi in voga sia nel contesto scolastico sia all’interno delle famiglie.

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Disagio individuale e sociale

La causa del disagio giovanile, abbiamo visto, può essere rintracciata nel rapporto con la figura genitoriale e nel contesto educativo. Il disagio stesso si esprime invece principalmente in due diversi modi:

  • Da una parte, la violenza e l’esplosione di rabbia. Vandalismo, risse e abusi rappresentano per Recalcati la difficoltà nel gestire le emozioni, che porta a trasformare la frustrazione in distruzione.
  • Dall’altra parte, l’isolamento e il ritiro sociale. Molti giovani si chiudono in se stessi, rifiutando il contatto con la società in una forma di autodifesa contro un mondo percepito come minaccioso.

Queste due espressioni del disagio giovanile possono sembrare contraddittorie, ad una prima analisi, ma rappresentano due facce della stessa medaglia. Si tratta infatti di risposte estreme alla cultura del godimento senza limiti e della competizione sfrenata.

Da un lato, quindi, si reagisce con violenza e rabbia, mentre dall’altro lato si evita ogni contatto con il mondo esterno. Inoltre, molti giovani alternano queste due fasi contrapposte, incapaci di trovare un equilibrio e spostandosi fra un eccesso e l’altro.

Come affrontare il disagio giovanile

Di fronte a questa crisi, è facile vedere una soluzione nella repressione o nel ritorno ai modelli educativi rigidi del passato. Ma si tratta di uno sbaglio: al contrario, è fondamentale partire dalla conoscenza delle cause per pensare a modi più efficaci di affrontare il disagio giovanile.

Secondo Massimo Recalcati, il problema fondamentale riguarda la perdita del desiderio, che si disperde nel consumo compulsivo o si spegne completamente. Per affrontare la questione, bisogna aiutare i giovani a recuperare il senso delle proprie passioni e delle proprie aspirazioni.

Ma come farlo?

Entra qui in gioco l’educazione, meglio se basata sul dialogo e sull’ascolto e non su modelli autoritari che ormai fanno parte del passato. I giovani devono sentirsi parte della comunità, già a partire dal contesto scolastico, e non emarginati o giudicati. In modo simile, gli adulti non possono limitarsi ad osservare il disagio giovanile da lontano, magari delegando la ricerca di soluzioni agli esperti. Le famiglie devono tornare a svolgere una funzione educativa alla quale per troppo tempo hanno rinunciato. Non si tratta, insomma, di sorvegliare e punire, bensì di scommettere sul futuro dei giovani e dar loro la fiducia di cui hanno bisogno per esprimersi. E tornare a desiderare.

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