Da sempre la penna rossa è associata, in ambito scolastico, alle correzioni dell’insegnante. Che sia su un compito in classe o su un esercizio, è il segno inconfondibile di errori o dimenticanze da parte degli studenti. Eppure, da diverso tempo ormai anche questo (vecchio) pilastro della scuola sta cambiando.
Sempre più insegnanti infatti scelgono di usare una penna verde per le loro correzioni e non più una rossa, con un messaggio chiaro. Se il rosso è infatti il colore ormai associato agli errori, il verde vuole rappresentare qualcosa di diverso, più positivo. Ma davvero basta questo per cambiare approccio?
Un nuovo modo di correggere i compiti
La tradizione vuole che un compito venga scritto con penna nera o penna blu e che le correzioni avvengano con la penna rossa. Il colore infatti risalta e le rende immediatamente visibili allo studente interessato. L’uso del rosso tuttavia è oggi percepito come aggressivo, tanto da richiedere un cambio di prospettiva o, meglio, un cambio di colore: al posto della penna rossa, una penna verde.
Questa nuova consuetudine, nata alcuni anni fa in Spagna, si sta via via facendo strada anche in Italia insieme alle tante iniziative di carattere inclusivo ed educativo. Alcuni docenti usano sia la penna verde sia quella rossa, mentre altri preferiscono soltanto la prima, ma l’obiettivo è lo stesso: correggere senza che gli alunni si sentano umiliati, educare senza mortificare.
Tutto questo grazie ad un semplice cambio di colore? Più o meno.
I benefici della penna verde
L’accostamento di un colore ad una determinata emozione o ad uno specifico stato d’animo è ovviamente un tratto culturale di una società. E come tale viene percepito come naturale da chi lo vive quotidianamente.
Di conseguenza, davvero un “semplice” cambio di colore nelle correzioni può cambiare anche la percezione dello studente. Passare dalla penna rossa alla penna verde può, insomma, comunicare un messaggio diverso anche se l’errore e la correzione rimangono uguali.
Da un lato c’è l’attenzione sull’errore e sullo sbaglio, dall’altro una strada più adeguata per imparare qualcosa. Si tratta di un dettaglio, da un certo punto di vista, che però permette allo studente di non vedere in quelle correzioni un fallimento quanto un’occasione di crescita.
In fondo, il principio è lo stesso che anima i nuovi approcci didattici in aula, come il focus sulle competenze non cognitive, o sulla mindfulness per alunni e genitori, o ancora sul metodo scolastico finlandese.
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Una “rivoluzione” giusta?
L’innovazione didattica della penna verde vuole contribuire, nel suo piccolo, al cambiamento di una scuola che decide di non concentrarsi più sull’errore in sé, quanto sulla crescita dell’individuo. Si tratta di un cambio di prospettiva: lo sbaglio non è più il punto centrale del percorso scolastico bensì un momento in un più ampio progresso dello studente.
Ed è giusto che sia così.
Allo stesso tempo, però, non bisogna commettere l’errore di vedere nell’uso della penna verde la panacea dei mali della scuola. Di qualsiasi natura siano.
Usare la penna verde vuol dire cambiare la percezione dello studente, ma per cambiare anche la scuola serve uno sforzo più profondo e radicato. L’obiettivo è una didattica inclusiva e rispettosa degli studenti, che sappia valorizzare le loro potenzialità e accompagnare tutti verso una crescita equilibrata e consapevole.
Soltanto da questo punto di vista, usare la penna verde per correggere i compiti può costituire un cambiamento salutare per la scuola. E non un’ennesima “rivoluzione” nelle intenzioni che cambia tutto, per non cambiare nulla.